L’empatia nell’era digitale

Il linguaggio digitale tra i ragazzi

Sono sincero, ho impiegato un po’ di tempo prima di capire il nuovo linguaggio dei ragazzi, e forse non l’ho ancora capito del tutto.

Fino a qualche anno fa, quando mia figlia mi diceva “mi sono sentita con la mia amica”, io avevo ben chiaro nella mia mente che si fosse sentita telefonicamente. In realtà quel “sentire” per lei era uno scambio di informazioni in modalità digitale, una comunicazione tra due device!

Prima si trattava solo di messaggi scritti WhatsApp, solo dopo si è passati anche a quelli vocali. Adesso mia figlia ha diciannove anni e capisco quando si sente veramente o quando scambia qualche messaggio.

Sinceramente, ci ho messo un po’ anche per capire come riuscissero a comprendere lo stato d’animo dell’interlocutore, le emozioni, il tono di voce e quali fossero le espressioni facciali alla lettura del messaggio. Tutti questi dubbi mi hanno stimolato ad approfondire i miei studi sull’empatia e sulla comunicazione empatica.

Per i ragazzi, in fondo, è importante comunicare e far sapere subito cosa c’è da dire, senza fare molta attenzione al para-verbale, né al fatto che in un determinato momento il ricevente potrebbe non essere nelle condizioni di ricevere una data informazione.

La mia titubanza sull’efficacia di questo tipo di comunicazione sarà dovuta dal fatto che, nel tempo, ho sviluppato sempre più l’attenzione verso il mio interlocutore. In assenza di urgenza/emergenza, ho cercato sempre il momento ideale per scrivere una mail, per contattarlo telefonicamente o per inviare un messaggio. Tutto questo senza tralasciare l’importanza delle parole in un messaggio che arriverà sul suo PC o sul suo smartphone.

L’empatia nelle relazioni post-pandemia

Se l’empatia, nei nostri abituali (oggi forse un po’ meno) discorsi a quattrocchi o nelle riunioni aziendali, è di fondamentale importanza, nella comunicazione digitale ancora non è stata presa in considerazione per cercare di migliorarla e per far sì che il nostro messaggio possa fare colpo sull’interlocutore o possa instaurare un primo rapport positivo.

C’è da dire che molti fanno ancora fatica a capire cosa sia effettivamente l’empatia. Altri ancora si sentono cintura nera, prendendo in considerazione la sola capacità di entrare in rapport e dimenticando completamente la parte legata all’ascolto, quella legata alla compassione e la capacità di mettersi nei panni degli altri. Perché proprio questa è empatia, il resto è semplicemente simpatia, cordialità, gentilezza (che è bene siano presenti in un dialogo, a maggior ragione in una negoziazione).

Quindi, tornando alla nostra empatia del mondo digitale, se da una parte i ragazzi non danno molto peso a questa abilità, noi adulti – professionisti e imprenditori primi fra tutti – dovremmo iniziare a rivalutarla e a svilupparla quanto prima.

Dopo due anni di restrizioni e contatti del tutto assenti, per non parlare dell’esclusione del para-verbale dai nostri dialoghi, abbiamo un gran bisogno di riallacciare le relazioni sociali di cui noi esseri umani ci nutriamo e grazie alla quale possiamo evolvere.

Per fare questo avremo la necessità di avvicinarci agli altri con cautela, di comprendere cos’hanno vissuto in questi due anni e quali paure hanno ancora riflesse. Tutte queste emozioni hanno contribuito a ridurre l’autostima, la fiducia in sé, la fiducia negli altri, la capacità di allacciare nuove relazioni.

Adesso possiamo dire che siamo in una fase di transizione e la comunicazione digitale deve fare del suo meglio per creare quell’avvicinamento che tutti stiamo aspettando dopo che il pericolo sarà scampato.

L’approccio all’empatia digitale

L’empatia digitale necessita di accorgimenti sulle parole che utilizziamo, sulla loro disposizione, sulla punteggiatura e sulla possibilità di ridurre il muro di testo che spesso vediamo nel corpo di una mail, in un articolo o in un comune post: se c’è bisogno di qualche emoji, anche noi della generazione x dobbiamo osare un po’ di più 😊.

Infine, prima di inviare qualsiasi messaggio proviamo a rileggerlo mettendoci nei panni del destinatario e, se lo conosciamo almeno un po’, proviamo a pensare con la sua testa, ad immaginare le sue espressioni facciali e a leggere secondo il suo tono di voce. Solo dopo questa verifica avremo una sicurezza in più che quel testo verrà letto facendo leva sull’empatia, proprio come avremmo voluto noi.

Credo necessiti ancora un po’ di tempo affinché le persone possano comprendere come comunicare empaticamente, ma una volta che si scopre la forza di questa forma relazionale vi assicuro che l’impegno e l’allenamento, giorno dopo giorno, possono fare miracoli, o quasi.

L’empatia, come dote e come abilità, l’ho scoperta solo sei anni fa, studiando le competenze trasversali come l’intelligenza emotiva e la comunicazione non violenta. Ma è da quando la alleno e so regolarla in una conversazione o in una relazione che mi dà la soddisfazione maggiore.

Anche con gli haters, quando c’è qualche post in cui parlo di felicità, si riescono ad ottenere buoni risultati, perché il contrario dell’empatia è la reazione che si scatena a seguito di parole che non piacciono, che additano o che giudicano. In questo caso bisogna essere veramente cintura nera di empatia per evitare che da qualcosa che ci disturba o che ci provoca rabbia ne scaturisca un’accesa discussione o un conflitto.

Ricordo ancora le mie prime volte da venditore presso le aziende: quando riuscivo a percepire l’umore del titolare, il suo interesse alla mia dialettica e sentivo che stava acquisendo fiducia in me, tiravo fuori il contratto e facevo firmare; se c’era diffidenza o non era il momento giusto, aspettavo e facevo capire che ero stato lì per lui e non per vendere.

L’empatia è un’abilità che una volta sviluppata e allenata diventa l’alleato perfetto per una relazione basata sull’autenticità, sull’ascolto e sulla fiducia.